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La giurista Maud de Boer-Buquicchio, membro della Pontificia Commissione per la Tutela dei Minori La giurista Maud de Boer-Buquicchio, membro della Pontificia Commissione per la Tutela dei Minori 

Tutela Minori, Buquicchio: ci sono progressi nelle Chiese locali, ma c'è ancora da fare

La giurista incaricata del secondo Rapporto Annuale sulle Politiche e le Procedure della Chiesa per la Tutela, pubblicato oggi dalla Pontificia Commissione per la Tutela dei Minori, sottolinea la necessità di dialogare con coloro che sono sopravvissuti agli abusi e di soffermarsi su riparazioni che vanno oltre il risarcimento economico: in Italia vediamo “una resistenza culturale sull’enfatizzare eccessivamente il ruolo delle vittime”

Isabella H. de Carvalho – Città del Vaticano

L’importanza di riparazioni che vadano oltre il risarcimento economico, la necessità di dialogare e ascoltare le vittime, il bisogno di dati per affrontare il problema degli abusi, i diversi livelli di progresso raggiunti dalle Chiese locali in varie aree del mondo, la "resistenza culturale" nel soffermarsi sulle persone colpite che si avverte in Italia: sono questi alcuni degli aspetti principali che emergono dal secondo Rapporto Annuale sulle Politiche e le Procedure della Chiesa per la Tutela, pubblicato oggi, 16 ottobre, dalla Pontificia Commissione per la Tutela dei Minori. A sottolinearli in un’intervista con i media vaticani è la giurista Maud de Boer-Buquicchio, responsabile del gruppo di lavoro realizzatore del documento ed esperta nella protezione dei minori, avendo lavorato anche presso organismi internazionali. Spiega come il focus di questo secondo rapporto sulle riparazioni voglia aiutare le Chiese locali in tutto il mondo a continuare ad impegnarsi per dialogare ed ascoltare le vittime.


Quali sono gli elementi principali emersi da questo secondo Rapporto Annuale?

Si tratta di un passo avanti molto importante in termini di valutazione e progressi compiuti dalle Chiese a livello globale. Quest’anno abbiamo deciso di concentrarci su una dimensione particolare del concetto di giustizia di transizione – che in contesto ecclesiale chiamiamo giustizia di conversione – ovvero le riparazioni. Abbiamo cercato di avviare un dialogo con i vari stakeholder, secondo le nostre prassi abituali, e abbiamo sviluppato uno strumento molto pragmatico e pratico, un vademecum, per le Chiese locali su come affrontare il tema delle riparazioni.

Non voglio riassumere tutte le nostre raccomandazioni, ma è importante evidenziare che indichiamo chiaramente che il risarcimento economico non è l’unico modo per fare riparazioni e rispondere alle esigenze delle vittime. Abbiamo ascoltato con molta attenzione le voci delle vittime e questo è un altro aspetto della nostra metodologia per la stesura del Rapporto. Le vittime ci dicono, sostanzialmente: “Quello che vogliamo è essere ascoltate”. A volte, è più importante che si sentano accolte e sostenute, che ricevere un risarcimento economico. Questa è una dimensione molto importante del nostro secondo Rapporto Annuale. In questa edizione, abbiamo anche espresso forte preoccupazione per la mancanza di dati. I dati sono fondamentali, perché nessun dato, nessun problema. Stiamo cercando di ottenere ulteriori dati da tutte le fonti possibili, per andare oltre quelli interni forniti dalle stesse Chiese o dai dicasteri.

Qual è stato l’impatto del primo Rapporto annuale e quali sviluppi e cambiamenti si notano in questo secondo Rapporto?

 Affrontiamo questioni molto importanti, non possiamo aspettarci cambiamenti immediati. È necessario continuare il dialogo e monitorare l’attuazione delle nostre raccomandazioni. Questo deve avvenire non solo nelle discussioni qui a Roma, ma, naturalmente, anche con le Chiese locali. Le stiamo supportando proseguendo questo dialogo. Abbiamo visto una maggiore consapevolezza e comprensione della necessità di coinvolgere le vittime, quindi si osservano alcuni progressi in questo senso. Non ancora sufficienti, ma riteniamo che l’impatto del primo Rapporto sia percepibile su questo fronte. Naturalmente, ogni situazione di una vittimasopravvissuta è diversa e necessita di una risposta specifica, che spetta alla Chiesa locale valutare, poiché le circostanze variano molto. C’è anche la questione del coinvolgimento delle autorità civili, che cambia da Paese a Paese: a volte è obbligatorio, altre volte è lasciato alla discrezione di chi è a conoscenza dei fatti. Questo è ancora qualcosa che dobbiamo assicurarci che avvenga. In generale, piano piano, passo dopo passo, stiamo facendo progressi.

Il secondo Rapporto annuale era già previsto quando abbiamo pubblicato il primo, in cui abbiamo spiegato che il concetto di giustizia di conversione ha diversi pilastri. Il nostro approccio è affrontare ogni pilastro separatamente: quest’anno abbiamo trattato le riparazioni, l’anno prossimo parleremo di giustizia e accesso alla giustizia, che sarà un altro rapporto molto importante. Infine, c'è la questione della riforma istituzionale e della verità, perché la verità non è forse il fondamento di tutto ciò di cui stiamo discutendo qui?

Il Rapporto si concentra sulle politiche e procedure di tutela nelle diverse Chiese locali e diocesi. Dove avete visto progressi e dove invece rimangono delle criticità?

A questo proposito ci sono tre categorie di Chiese. Quando parlo di Chiese, includo anche i religiosi. Più che suddividerle per regioni, possiamo dire che ci sono alcune Chiese molto avanti: hanno pubblicato linee guida, hanno procedure appropriate per ascoltare le vittime, ecc. Sono, in larga parte, già ben avviate sul cammino della conversione. Ci sono poi Chiese che stanno iniziando ad affrontare la questione, perché è un concetto ancora nuovo. In passato, ci si concentrava soprattutto sulle sanzioni e sui procedimenti disciplinari, con un'enfasi sui trasgressori, lasciando completamente fuori fuoco le vittime. Purtroppo, ci sono anche Chiese ancora più indietro, che sono appena all’inizio di questo percorso. È infatti molto importante lavorare insieme con il dicastero qui a Roma per accompagnarle in questo cammino.

Quindi, ci sono queste tre categorie di Chiese, ma non riesco a localizzarle geograficamente. Il pensiero ovvio è che il Sud globale sia più indietro, ma ci sono eccezioni. Ci sono pratiche locali molto interessanti, che abbiamo identificato anche nel Rapporto. Ad esempio a Tonga si pone una forte enfasi sul sostegno comunitario alle vittime, il che è molto interessante. Allo stesso tempo, nel Nord globale, in Europa, alcune Chiese sono molto avanti, altre meno. Il panorama è molto variegato.

Il Rapporto ha messo in evidenza anche la situazione dell’Italia. Cosa è emerso dalla vostra analisi e quali raccomandazioni avete dato?

L’Italia è una delle Chiese menzionate nel rapporto, anche grazie alla visita ad limina che ha avuto luogo nel 2024. Purtroppo, non tutte le regioni erano rappresentate, forse a causa di problemi tecnici legati a questioni di tempo. Quello che possiamo dire, anche dal punto di vista della Chiesa in Italia, è che permane ancora quella che definiamo una resistenza culturale sull’enfatizzare eccessivamente il ruolo delle vittime, le vittime sopravvissute, e c’è una sottovalutazione della necessità di instaurare un dialogo organizzato con loro. Questo, secondo me, è un aspetto che può essere migliorato e per il quale alcuni dei nostri interlocutori sono molto disponibili a impegnarsi, ma non su tutto il territorio italiano.

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16 ottobre 2025, 11:44