“Nostra aetate”, dal Marocco l’appello all’impegno per la fraternità universale
di Cristóbal López Romero*
Sessant’anni fa il Concilio Vaticano II ci ha donato uno dei grandi tesori del magistero della Chiesa: la dichiarazione Nostra aetate sulle relazioni della Chiesa con le religioni non cristiane. Quel breve testo fu un documento assolutamente necessario e radicalmente rivoluzionario che cambiò completamente lo sguardo dei cristiani verso gli altri credenti. Seminò dialogo là dove prima c’era scontro e rispetto là dove prima c’era sospetto, e fu decisivo per riconoscere la presenza di Dio al di là dei confini del cristianesimo.
Personalmente ho conosciuto un altro tempo, segnato da un’altra mentalità. Ricordo un aneddoto che ho ascoltato su un sacerdote che negli anni Cinquanta dello scorso secolo formò un gruppo di giovani cristiani scelti, ai quali affidò il compito non di leggere la Bibbia, aiutare i poveri o andare a messa, ma di tirare pietre contro un tempio protestante della loro città perché, a suo modo di vedere, i protestanti erano eretici e bisognava combatterli. A quell’epoca lo zelo per la fede veniva inteso così.
Oggi, grazie a Nostra aetate, molti religiosi come me possono, per esempio, svolgere il proprio lavoro in Marocco — un paese a maggioranza musulmana e dove la religione ufficiale è l’islam — e frequentare assiduamente un istituto ecumenico, fondato e gestito congiuntamente da protestanti e cattolici, dove cristiani e musulmani dialogano e lavorano insieme. Quanta strada percorsa! Eppure la strada ancora da fare è più lunga di quella già fatta. Perciò è necessario condividere queste storie, non solo per imparare qualcosa dal passato ma anche per impegnarci a continuare il cammino comune che, come credenti, dobbiamo percorrere.
Nostra aetate ci affida responsabilità sociali e spirituali come credenti. Ci invita a rivedere la nostra immagine di Dio, per renderla più autentica e completa. In concreto, ci aiuta a scoprire un Dio che è più grande di noi, che è Padre di tutti; un Dio che non può essere patrimonio esclusivo di nessuno. Nessuna nazione né confessione può appropriarsene. È il Dio di tutti, un Padre che fa sorgere il sole sui buoni e sui cattivi. Noi apparteniamo a Dio, non il contrario.
È anche importante accettare un Dio che vuole la salvezza di tutti, che Dio è il Dio di tutti e che è un Dio di amore. Come Giona, a volte noi ci opponiamo a un Dio che perdona il nemico, che salva i niniviti, che mostra compassione verso quanti consideriamo estranei. Dio ama tutti i popoli, la sua provvidenza è per tutti. La bontà e la volontà di salvare gli uomini sono universali. Allo stesso modo è fondamentale accettare che lo Spirito soffi dove vuole, quando vuole e come vuole. Noi cristiani crediamo in un Dio che, attraverso il suo Spirito, è presente e agisce in ogni momento della storia, in ogni società, in ogni civiltà, in ogni cultura, in ogni persona, lasciando ovunque “semi del Verbo”, bagliori di verità. Anche se rappresentiamo lo Spirito santo come una colomba, esso non accetta di essere imprigionato in una gabbia la cui chiave sarebbe nelle nostre mani, il che ci consentirebbe di lasciarlo uscire quando vogliamo e dove vogliamo. È responsabilità spirituale di noi cristiani riconoscere che non siamo padroni dello Spirito. Questo è uno dei fondamenti, dei punti di partenza, per vivere il dialogo interreligioso e costruire la fraternità universale.
«Da un solo uomo Dio ha fatto discendere tutti i popoli», dice il libro degli Atti. Se abbiamo un’unica origine e un unico destino, come possono esistere cristiani che considerano nemici altri popoli che non sono il loro, e altre religioni che non sono la loro? Come potrebbe un cristiano vivere sul piede di guerra? Come potrebbe un cristiano pensare che la sua missione consiste nel combattere i non cristiani?
Papa Francesco, con le sue encicliche Laudato si’ sulla cura della casa comune e Fratelli tutti sulla fraternità e l’amicizia sociale, ha proseguito il cammino tracciato da Nostra aetate e ricordato che l’intera umanità è una sola famiglia che abita in una sola casa comune. La pluralità delle religioni mostra che nel cuore umano c’è un desiderio profondo che lo spinge alla ricerca di Dio e del senso della vita. Per questo il fenomeno religioso è universale e atemporale, cioè esiste ovunque e sempre. Se la società deve preoccuparsi di nutrire, curare ed educare le persone, deve anche impegnarsi per garantire le condizioni che permettano a ognuno di vivere nella libertà religiosa e di trovare nelle religioni risposte alle domande che sorgono. Perché l’essere umano deve compiere la sua ricerca con totale libertà, come si addice alla sua natura, e nei limiti della sua capacità intellettuale.
Ogni persona ha diritto a cercare Dio secondo la propria coscienza. Le religioni, da parte loro, hanno la responsabilità di offrire cammini di senso e di verità, non di dominio. Occorre abbandonare il falso schema di “religione vera, religione falsa”. Nessuna religione può appropriarsi della verità, come se ne fosse l’unica proprietaria. Nessuna possiede la verità; semmai è la verità a possederci tutti e in ogni religione ci sono bagliori di verità.
Hans Küng scrisse nel 1991: «Non ci sarà pace tra le nazioni senza pace tra le religioni, né pace tra le religioni senza dialogo tra di esse». Questa continua a essere una sfida urgente. Le religioni possono e devono essere fonte di pace, giustizia e fraternità. Le religioni hanno oggi una responsabilità senza precedenti nel promuovere insieme un ethos planetario, un consenso minimo per la sopravvivenza dell’umanità.
Papa Leone XIV, nella sua intenzione di preghiera del mese di ottobre, ci invita a far sì «che le religioni non vengano usate come armi o muri, ma piuttosto vissute come ponti e profezia: rendendo realizzabile il sogno del bene comune, accompagnando la vita, sostenendo la speranza e diventando lievito di unità in un mondo frammentato». Questo è lo spirito di Nostra aetate: trasformare la fede in uno strumento di incontro, non di divisione.
Dal Marocco, dove la convivenza tra cristiani e musulmani è segno di speranza, vorrei rinnovare l’impegno che ci ha lasciato Nostra aetate e proporre compiti precisi per raggiungere quella fraternità universale e gettare le basi per l’unità e la carità tra gli uomini. Eccone alcuni: mostrare nella vita quotidiana e con atti concreti spirito di apertura e di dialogo; formare le nuove generazioni contro il fondamentalismo e il fanatismo; riconoscere e promuovere i valori spirituali e morali di tutte le religioni. È anche importante conoscere e diffondere la conoscenza di altri documenti che danno seguito a Nostra aetate, come Redemptoris missio, Fratelli tutti, Evangelii nuntiandi, Evangelii gaudium, il Documento sulla fratellanza umana per la pace mondiale e la convivenza comune di Abu Dhabi e la lettera Una parola comune tra noi e voi.
È fondamentale lavorare insieme per la giustizia, la pace e la fraternità umana. Perché, in fin dei conti, la nostra casa è il mondo e la nostra famiglia l’umanità.
*Cardinale arcivescovo di Rabat
Grazie per aver letto questo articolo. Se vuoi restare aggiornato ti invitiamo a iscriverti alla newsletter cliccando qui