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Il cardinale Augustin Bea Il cardinale Augustin Bea 

“Nostra aetate”, Skorka: aprì una porta rimasta chiusa per quasi duemila anni

Il rabbino docente alla Georgetown University di Washington commenta su L’Osservatore Romano i 60 anni della Dichiarazione conciliare: ha aiutato cristiani ed ebrei a passare dall’ostilità alla comprensione reciproca

di Abraham Skorka*

Nostra aetate fu promulgata sessant’anni fa affinché la Chiesa cattolica potesse interagire meglio con il mondo moderno e per rimediare a un tragico errore storico. Il cardinale Augustin Bea, che ebbe un ruolo importante nella sua stesura e approvazione, parla di questo secondo obiettivo nel suo libro La Chiesa e il popolo ebraico, scrivendo che il rapporto tra la Chiesa e il popolo ebraico è un problema che dura da duemila anni, antico come il cristianesimo stesso. Esso si è acuito in particolare alla luce della spietata politica di sterminio inflitta a milioni di ebrei dal regime nazista in Germania. E così ha attirato l’attenzione del Concilio Vaticano II.

I conflitti iniziali tra ebrei tradizionalisti e seguaci ebrei e gentili di Gesù dei primi decenni si intensificarono nel corso dei secoli, trasformandosi in un’ostilità profonda che allontanò ebrei e gentili. L’odio verso coloro ai quali veniva attribuita la colpa della morte di Gesù raggiunse vette tali da causare massacri da parte dei crociati, espulsioni da diverse nazioni, inquisizioni e pogrom. Quel clima di disprezzo preparò il terreno per la narrativa usata dal nazismo che alla fine si tradusse nell’assassinio sistematico di sei milioni di discendenti del popolo da cui era nato Gesù.

Una volta compresa la portata della shoah, per molti ebrei fu chiaro che era necessario un profondo cambiamento per porre fine a quel dissidio bimillenario. Il segretario generale del Congresso ebraico mondiale, dottor Aryeh Kubovy, durante un’udienza con Papa Pio XII il 21 settembre 1945, gli chiese di stilare un documento che affermasse esplicitamente che gli ebrei non erano responsabili della morte di Gesù. Il 16 ottobre 1949 il noto storico Jules Isaac, che nel 1948 aveva pubblicato il libro Jesus et Israël sugli insegnamenti antiebraici nelle dottrine cristiane, avanzò una richiesta analoga a Pio XII. Il 13 giugno 1960 presentò la stessa richiesta a Papa Giovanni XXIII, che rispose subito positivamente. Affidò al cardinale Bea il compito di redigere un documento sulle Quaestiones de Judaeis. Dopo un lungo e arduo processo, nel corso del quale Bea diede prova di grande coraggio, saggezza e forza spirituale, il documento intitolato Nostra aetate fu approvato dal Concilio Vaticano II e promulgato da Paolo VI il 28 ottobre 1965. In Nostra aetate non solo era stata eliminata l’accusa di deicidio ma il documento affermava anche che non era mai stata abolita l’alleanza tra Dio e il popolo ebraico. Tutte le espressioni di antisemitismo e antiebraismo venivano condannate e respinte.

Nei sessant’anni successivi a tale evento sono stati redatti numerosi documenti da cattolici ed ebrei. Giovanni Paolo II e i suoi gesti profondi verso il popolo ebraico e lo Stato d’Israele sono stati una fonte di ispirazione e un catalizzatore per il ravvicinamento tra ebrei e cattolici che hanno iniziato a riconoscersi come figli della stessa matrice storica che li univa fraternamente. Giovanni Paolo II coniò per il popolo ebraico l’espressione “fratelli maggiori nella fede”.

I sacerdoti argentini che abbracciarono gli insegnamenti del Concilio Vaticano II e le azioni di Giovanni Paolo II si impegnarono a promuovere un dialogo significativo con la comunità ebraica. È nella ricerca di un compagno per aiutare a costruire un cammino d’azione che avrebbe avvicinato maggiormente cattolici ed ebrei nella fraternità che l’allora arcivescovo di Buenos Aires, Jorge Mario Bergoglio, e io ci siamo incontrati. Abbiamo scritto un libro di dialoghi e prodotto trentuno programmi televisivi che esplorano la prospettiva biblica sulle sfide che la gente deve affrontare oggi. Attraverso quel lavoro abbiamo dato prova di gesti di coraggio morale e spirituale che hanno avuto un impatto duraturo sulla nostra cultura argentina.

Quando Bergoglio è diventato Papa, il nostro dialogo è continuato con la stessa intensità. Mi ha fatto l’onore di includermi nella delegazione vaticana nel suo pellegrinaggio in Terra Santa. Tutti questi sono frutti di Nostra aetate. La dichiarazione conciliare ha aperto la porta di un dialogo che era rimasta chiusa per quasi duemila anni. Per la prima volta è stato compiuto uno sforzo per creare uno spazio di empatia, dove molti cattolici ed ebrei cercavano di comprendersi meglio. Al posto di dispute come quelle avvenute a Barcellona e a Tortosa, c’è stato uno scambio di parole fraterne, incentrate sulla promozione della comprensione reciproca.

Il cardinale Augustin Bea, come già detto, collegò la stesura di Nostra aetate con la shoah. Proseguendo il dialogo iniziato, che è ancora nelle sue prime fasi, i dialoghi interreligiosi sono l’unico mezzo per portare pace nel nostro mondo tormentato e spezzato.

*Rabbino, Georgetown University, Washington

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28 ottobre 2025, 16:12