Processo d’appello vaticano, rinvio al 3 febbraio 2026
Salvatore Cernuzio – Città del Vaticano
Non è la sospensione del processo proposta stamattina dall’Ufficio del Promotore di Giustizia, ma è un ampio termine - fino al 3 febbraio 2026 - quello che intervallerà il procedimento giudiziario sulla gestione dei fondi della Santa Sede, giunto oggi alla sua quarta udienza. La Corte d’appello vaticana, presieduta da monsignor Alejandro Arellano Cedillo, ha stabilito quasi quattro mesi di tempo durante i quali gli avvocati degli imputati dovranno presentare, entro il 7 novembre prossimo (con possibilità di replica entro il 28 novembre), delle memorie sulle questioni pregiudiziali da loro stessi eccepite. Nel frattempo la Corte di Cassazione, pur non avendo alcun limite temporale, avrà maggiore tempo per esprimersi sulla istanza di ricusazione, presentata dalle stesse difese, nei confronti del promotore di Giustizia, Alessandro Diddi.
Ricorso del promotore di Giustizia
“Una decisione salomonica” l’hanno definita gli avvocati a conclusione dell’udienza durata solo un’ora e mezza nella nuova Aula del Tribunale vaticano. Udienza animata dal dibattito circa il ricorso che l’Ufficio del Promotore di Giustizia ha presentato ieri alla Cassazione vaticana contro l’ordinanza della Corte d’appello del 25 settembre. Quella, cioè, che dichiarava inammissibile l’appello alla sentenza di primo grado da parte di Diddi per genericità dei motivi e tardività nel deposito degli atti.
Ad annunciarlo in aula, il promotore aggiunto Roberto Zannotti: “L’Ufficio del Promotore di Giustizia ha proposto un ricorso per Cassazione” ritenendo che l’ordinanza emessa dalla Corte d’appello “configuri un provvedimento abnorme”. Che nel linguaggio giuridico intende un atto ‘anomalo’ al punto da porsi fuori dal sistema processuale, col rischio di bloccare il processo stesso.
Ed è infatti di “stasi processuale” che ha parlato Zannotti affermando che la Corte presieduta da Arellano “ha emesso un atto che non avrebbe potuto emettere in quanto non legittimata a valutare da sola l’ammissibilità dei motivi della impugnazione. Nessuna norma del Codice di Procedura penale – ha aggiunto - prevede che sia effettuato un vaglio su quelli che sono contenuti e forma dei motivi di impugnazione”.
“Tutto questo può creare una situazione di stasi processuale, alla quale solo la Corte di Cassazione può porre rimedio”. Non solo: le conseguenze di questo “atto abnorme”, ha affermato Zannotti, “potrebbero ricadere sull’Ufficio del Promotore di Giustizia”, il quale, se la Cassazione dichiarasse effettivamente nulla l’ordinanza di inammissibilità, verrebbe a “perdere un grado di giudizio”. Insomma, “una reazione a corto circuito” che “comprometterebbe” la posizione del pubblico ministero. In ragione di questo, Zannotti ha chiesto che il procedimento di secondo grado venisse sospeso o comunque rinviato “ad una data rispetto alla quale la Corte di Cassazione potrebbe aver già deciso sul ricorso sulla inammissibilità”. Un rinvio “per garantire la parità di tutte le parti”.
Le repliche dei legali della difesa
Pronte le repliche degli avvocati delle difese che hanno invece domandato alla Corte di respingere il ricorso del promotore, ravvisandone l’inammissibilità ai sensi degli articoli 514 e 515 del Codice di Procedura penale, e anche “l’infondatezza” e la “contraddittorietà”. Tra i motivi, come ha fatto notare Luigi Panella, difensore del consulente finanziario Enrico Crasso, il fatto anche che il ricorso del PG “non è stato preceduto da una riserva di impugnazione che doveva essere fatta immediatamente senza intervallo temporale”. Il promotore avrebbe dovuto infatti annunciare la sua impugnazione appena sentita la sentenza parziale del 25 settembre scorso e non lo ha fatto. “Erano in quattro qui e nessuno ha preso parola”. L’avvocato del finanziere Raffaele Mincione, Gian Domenico Caiazza, ha invece rilevato da parte sua che lo stesso Ufficio del Promotore di Giustizia nel 2022, con il processo Caloia (l’ex presidente IOR) “ha chiesto ed ottenuto la inammissibilità di un atto di impugnazione per genericità dei motivi non più di tre anni fa”. Perché, ha domandato l’avvocato, oggi argomenta l’inammissibilità dello stesso mezzo, senza informarci di cosa accaduto nel frattempo?
Tutti gli avvocati si sono associati alla eccezione e hanno depositato una memoria in Cancelleria.
L'ordinanza della Corte d'appello
Preso atto delle richieste, la Corte si è ritirata in Camera di Consiglio dalle 10.20 alle 10.55. Al termine monsignor Arellano ha letto l’ordinanza che, citando il Codice di Procedura penale (art. 508), ha rigettato l’istanza presentata dal promotore di Giustizia di sospendere il processo e ha ordinato di non trasmettere gli atti alla Cassazione. “Con separato provvedimento” la stessa Corte si è riservata di decidere sulla istanza di dissequestro delle somme del fondo Centurion proposto dall’avvocato della parte civile Apsa, Giovanni Maria Flick.
Infine, tenendo conto delle “questioni pregiudiziali relative alla nullità del decreto di citazione a giudizio della sentenza e della ordinanza del 1° marzo 2022” (tra cui il mancato deposito della totalità degli atti durante l’istruttoria, i famosi omissis) e rilevata l’eccezione sulla inefficacia dei Rescripta (i provvedimenti di Papa Francesco sopraggiunti nel corso delle indagini che ampliavano i poteri del promotore), monsignor Arellano ha concesso alle parti la data del 7 novembre 2025 per presentare delle “memorie illustrative” in merito. Ha dato poi annuncio della prossima data del 3 febbraio e di quelle delle successive udienze: 4, 5, 6 febbraio, tutte dalle 9 alle 13.30.
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