Gallagher: moralmente indifendibile costruire la pace su minacce di distruzione
Edoardo Giribaldi – Città del Vaticano
Un “ammasso di macerie” o un “giardino fiorito”: due visioni che si contendono l’anima del mondo. San Giovanni Paolo II, già nel 2000, intravedeva questo bivio dell’umanità. Oggi quel rischio si rinnova, alimentato dall’idea, “moralmente indifendibile e strategicamente insostenibile”, di costruire la sicurezza minacciando la “distruzione totale”. Le ombre delle armi nucleari continuano a proiettarsi sulle coscienze, mentre la luce di un mondo riconciliato resta una promessa coltivata in quel seme di “coraggioso perdono” che la Chiesa custodisce e proclama dal Medioevo fino a Papa Leone XIV. Questi i rischi e gli auspici espressi dall’arcivescovo Paul Richard Gallagher, segretario per i Rapporti con gli Stati e le Organizzazioni Internazionali, in una lectio magistralis tenuta nel primo pomeriggio di oggi, giovedì 13 novembre, presso la Facoltà Teologica dell’Italia Centrale, a Firenze, dal titolo La minaccia nucleare: nuovi scenari di rischio e l’impegno dei cristiani.
Le crisi del contesto internazionale
L’arcivescovo inglese - di ritorno dal viaggio compiuto in Sri Lanka la settimana scorsa - ha esordito collegando la minaccia nucleare odierna all’ottantesimo anniversario del primo test nucleare nel New Mexico e alla “devastazione” di Hiroshima e Nagasaki, le cui sofferenze rappresentano un “monito duraturo” del potenziale “catastrofico” delle armi atomiche. Il contesto attuale — ha osservato — è stato “duramente messo alla prova” da numerose crisi: la pandemia globale, i disastri naturali sempre più frequenti, l’insicurezza alimentare, l’aumento della fame, i nuovi conflitti e la violenza diffusa in molti Paesi. Gli equilibri del secondo dopoguerra sono stati scossi, e la pace oggi “non può più essere data per scontata”, anche per i crescenti “dubbi” sulla capacità della comunità internazionale di mantenere la stabilità tra le nazioni.
Il fallimento della "retorica della minaccia"
“La logica del confronto e delle lotte di potere si è notevolmente rafforzata”, ha affermato Gallagher, “con la formazione anche di nuove alleanze e la recrudescenza della retorica della minaccia, in particolare di quella nucleare”. Il mondo assiste così a “una forte ripresa e ad un’accelerata corsa agli armamenti accompagnata da rinnovati sforzi, a volte frenetici, per espandere gli arsenali esistenti e le loro capacità distruttive”. La domanda che sorge spontanea riguarda il significato di tale “retorica della minaccia”, che riflette in genere un rapporto “danneggiato”, in cui l’altro è percepito come pericoloso. Di fronte all’incertezza, si assume istintivamente una “postura difensiva”, che rende più difficile la comunicazione e la riduce a una dimostrazione di potenza, con lo scopo di intimidire. L’informazione contemporanea, inoltre, basata fortemente sulle immagini, amplifica tale percezione attraverso la rappresentazione delle capacità militari. La “postura della minaccia”, derivata dalla paura dell’altro, può quindi produrre un effetto dissuasivo apparentemente "efficace", ma genera solo un “equilibrio della paura o del ricatto”, precario e fragile, sul quale è impossibile costruire relazioni pacifiche e durature.
Il mondo a un bivio: "giardino" o "ammasso di macerie"
Un equilibrio che già nella Lettera enciclica Pacem in Terris (1963) san Giovanni XXIII respingeva, esortando a un “disarmo integrale” per “dissolvere la psicosi bellica”. Si tratta di sostituire la logica della forza con quella della fiducia reciproca — "un cambiamento di paradigma non sempre facile". Purtroppo, ha notato l'arcivescovo, persiste la convinzione che l’equilibrio militare, e in particolare quello nucleare, possa costituire "una garanzia di pace e sicurezza". Citando ancora Papa Roncalli, ha ricordato come la corsa agli armamenti atomici generi negli esseri umani la paura di vivere “nell’incubo di un uragano che potrebbe scatenarsi in ogni momento”. “Un equilibrio fondato sul terrore e sulle reciproche dimostrazioni di forza”, ha aggiunto il segretario per i Rapporti con gli Stati e le Organizzazioni Internazionali, “non può in alcun modo garantire una pace autentica; al contrario, contribuisce ad accrescere il rischio e la portata distruttiva di un eventuale conflitto”. È “moralmente indifendibile e strategicamente insostenibile” — ha ribadito — "l’idea di costruire la pace sulla minaccia di una distruzione totale o sull’illusione che la stabilità possa derivare da una reciproca possibilità di annientamento". Un bivio che san Giovanni Paolo II sintetizzava così nel 2000: “L'umanità possiede oggi strumenti d’inaudita potenza: può fare di questo mondo un giardino o ridurlo a un ammasso di macerie”.
Il pericolo della "modernizzazione tecnologica" della guerra
La continua “modernizzazione tecnologica” delle capacità militari moltiplica poi tale rischio. Gallagher ha ricordato che anche gli strumenti di Intelligenza Artificiale (IA) vengono oggi utilizzati a fini bellici “in modo sempre più spregiudicato”. Diverse testate sono ormai in grado di identificare e colpire obiettivi senza intervento umano, ma — ha sottolineato — “anche i sistemi più moderni non potranno mai sostituire l’esclusiva capacità umana di giudizio morale e di decisione etica”. La Nota Antiqua et Nova sull'IA avverte che le armi autonome letali potrebbero rendere la guerra più “praticabile”, ampliandone la portata e "sfumando ulteriormente i confini tra ciò che è permesso e ciò che non lo è". In tale scenario, diventa più complessa anche l’applicazione del principio di proporzionalità — cardine del diritto umanitario e della teoria della guerra giusta — che impone di limitare l’uso della forza “a quanto strettamente necessario per raggiungere obiettivi legittimi”. Tutto ciò ha conseguenze profonde sulla tutela dei principi umanitari fondamentali e sull’umanità stessa.
Vie di dialogo e mezzi pacifici
Da qui l’urgenza, ha ricordato l’arcivescovo, di rispondere all’appello dei Padri del Concilio Vaticano II a “considerare la guerra con mentalità completamente nuova”. Una “pace disarmata e disarmante, umile e perseverante” — come affermato da Papa Leone XIV — richiede vie di dialogo e mezzi pacifici per risolvere le controversie internazionali: “Non è deterrenza, ma fratellanza, non è ultimatum, ma dialogo. Non verrà come frutto di vittorie sul nemico, ma come risultato di semine di giustizia e di coraggioso perdono”.
La Chiesa storicamente contro la guerra
Storicamente, ha ricordato l'arcivescovo, dal Medioevo ai movimenti moderni la Chiesa ha sempre potuto contare su forti sostenitori della risoluzione pacifica dei conflitti. Già Pio IX, nella seconda metà dell’Ottocento, denunciava lo scandalo della guerra e ratificava la prima Convenzione di Ginevra (1864), chiarendo che la Chiesa non avrebbe mai intrapreso guerre. Tutti i suoi successori hanno ribadito con fermezza la condanna della guerra: “Mai più guerra, mai più guerra”, affermava san Paolo VI alle Nazioni Unite nel 1965. Allo stesso modo, san Giovanni Paolo II affermava con decisione che “la guerra dovrebbe appartenere al tragico passato, alla storia; non dovrebbe trovare posto nei progetti dell’uomo per il futuro”. Papa Francesco, nel Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace del 2017 ricordava che “quando sanno resistere alla tentazione della vendetta, le vittime della violenza possono essere i protagonisti più credibili di processi nonviolenti di costruzione della pace”. E nella recente Lettera Apostolica per il sessantesimo anniversario della Dichiarazione conciliare Gravissimum educationis, Leone XIV ha insistito sull’importanza dell’“ascolto che riconosce l’altro come bene, non come minaccia”.
Preservare i "principi di umanità"
L’arcivescovo Gallagher ha poi sottolineato l’urgenza di “preservare i principi di umanità” nel contesto internazionale. La “mentalità nuova” evocata dal Concilio richiede un serio impegno per il rispetto del diritto umanitario, troppo spesso violato nei conflitti contemporanei. Gli attacchi deliberati contro civili e infrastrutture, e la conseguente “banalizzazione” delle atrocità, minano la dignità umana e indeboliscono l’intero sistema normativo delle Convenzioni di Ginevra. “Non può esservi pace autentica” se tale quadro non viene tutelato, ha affermato il segretario per i Rapporti con gli Stati e le Organizzazioni Internazionali. È indispensabile mantenere la distinzione tra civili e combattenti, ribadendo il principio di proporzionalità e precauzione. Tuttavia, “l’adeguamento del quadro giuridico non è sufficiente”: occorre riscoprire i principi etici che devono guidare l’agire umano.
L'approccio integrale necessario per la pace
Come ricordano i Papi che si sono succeduti a partire dal Concilio Vaticano II, “sarebbe illusorio ridurre la pace alla semplice assenza di conflitti”. A maggior ragione, “la minaccia nucleare e il relativo equilibrio del terrore non possono essere il fondamento di una pace vera, giusta e duratura”. Nel contesto globalizzato odierno, in cui le "interdipendenze" sono cresciute fino a generare vere e proprie "dipendenze", la pace esige un approccio integrale alla sicurezza, basato sulla giustizia e sulla carità. In conclusione, secondo Gallagher “l’incontrollabilità di un potere distruttivo capace di colpire un numero immenso di civili innocenti impone una riflessione profonda, un dialogo sincero tra i diversi attori e un impegno risoluto a definire un solido quadro di regole". Solo così sarà possibile avanzare sulla via della Wsmilitarizzazione del mondo", costruendo fiducia reciproca e promuovendo una cultura della pace. Come ha ricordato ancora Papa Leone XIV nella sua Lettera Apostolica sull’educazione: “L’educazione cattolica ha il compito di ricostruire fiducia in un mondo segnato da conflitti e paure, ricordando che siamo figli, non orfani: da questa coscienza nasce la fraternità”.
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